Il processo di Delega (parte 3): il battitempo

Con l’articolo di oggi voglio andare avanti sull’argomento dell’ultima settimana, la Delega.

 

In particolare volevo introdurre il concetto di battitempo.

 

Dovete sapere che da noi, i project manager, non si chiamano più con questo nome. Da noi si chiamano Battitempo e hanno una funzione chiave per il raggiungimento degli obiettivi che ci prefissiamo.

 

Mano mano che le aziende crescono, i nuovi progetti non sono più cose semplici che l’imprenditore in prima persona, o 2 – 3 persone messe insieme completano in autonomia.

 

In un’azienda strutturata i nuovi progetti coinvolgono interi reparti o persone di diverse divisioni, che a volte possono essere anche dislocate in sedi operative diverse o addirittura avere time zone diverse.  

 

Per portare a termine questi processi serve quindi qualcuno che tiri le fila delle varie attività e faccia in modo che si proceda per “processi produttivi paralleli”.

 

Faccio un esempio per cercare di spiegarmi meglio: lanciare una nuova linea di prodotti, coinvolge come minimo 5/6 reparti di un’azienda.

 

Non tutti hanno lo stesso carico di lavoro per completare le proprie attività e non tutti entrano in gioco contemporaneamente, ma ognuno deve fare un pezzo del processo per fare in modo che il lancio venga completato con successo.

 

Molte aziende vanno lente nelle nuove iniziative perchè immaginano l’attività come un binario unico, dove per procedere con lo step 3 si deve attendere l’arrivo della locomotiva proveniente dallo step 2.

 

Se vogliamo avere un’azienda che si muove velocemente e vogliamo accorciare il tempo che passa da quando abbiamo un’idea a quando la mettiamo sul mercato, dobbiamo fare in modo che il processo di rilascio viaggi su binari paralleli, in cui tutti i vagoni procedono contemporaneamente, quindi tutti i reparti facciano il lavoro che possono fare in autonomia senza aspettare qualcuno altro, e ad un certo punto i vagoni convergano, in un punto, agganciandosi con la locomotiva principale che determina il lancio sul mercato.

 

Questa modalità è quella che noi chiamiamo “processi produttivi paralleli” e permette anche ad azienda molto strutturate di lanciare nuove iniziative sul mercato in poche settimane, senza spreco di risorse e soprattutto di tempo.

 

Per riuscire ad attuarla sono necessarie 3 cose:

  • Un attento lavoro di analisi iniziale, che evidenzi tutte le fasi ed i soggetti coinvolti
  • Un grafico Gantt che racchiuda tutte le attività e specifichi il punto di incontro dei vagoni
  • Un Battitempo: un leader che si prenda la responsabilità di controllare quotidianamente il Gantt, verifichi l’andamento dei vari soggetti coinvolti e capisca dove si deve accelerare e dove si sta procedendo secondo i piani. 

 

Lui deve avere visione di insieme su tutto il processo e la sua priorità principale è che nessuno aspetti qualcun altro durante il percorso, per questo deve battere il tempo e verificare quotidianamente che le attività vengano svolte nei tempi previsti. Ricordiamoci infatti che le persone NON fanno quello per cui non sono controllate, come ho già spiegato in un altro articolo.

 

Questa modalità di lavoro è anche alla base dello smart working, dove persone dislocate in luoghi diversi partecipano allo stesso risultato e si può applicare in qualsiasi processo aziendale, a qualsiasi livello, a prescindere dalla dimensione dell’impresa.

 

Quindi quando avviamo un qualsiasi nuovo progetto, facciamo sempre in modo che ci sia un battitempo dedicato a quella iniziativa, a volte può essere l’imprenditore stesso, in altri casi può essere il direttore operativo, in altri ancora un project manager, ma in generale se vogliamo raggiungere il traguardo nel più breve tempo possibile e senza sprecare risorse preziose, facciamo sempre in modo che ci sia e che sia focalizzato al 100%.

 

Per oggi è tutto. Ti lascio al video che ho girato sull’argomento.

Il processo di Delega (parte 2)

Con l’articolo di oggi voglio approfondire un argomento di cui ho già parlato in uno dei precedenti articoli, ovvero quello della delega.

 

Ho già spiegato le 8 fasi in cui si divide tale processo e dell’importanza di sviluppare il mindset della responsabilità e della fiducia per attuarlo al meglio; oggi, invece, mi voglio concentrare su alcuni aspetti operativi che possono fare la differenza.

 

Per prima cosa dobbiamo capire con quali messaggi “accompagniamo” il trasferimento delle informazioni e la fase di educazione.
E’ importante che i nostri collaboratori percepiscano la possibilità di sbagliare e, allo stesso tempo, la possibilità di chiedere aiuto.

 

Voglio fare alcuni esempi per spiegarmi meglio: se noi passassimo il messaggio “chiedimi prima di fare qualcosa che non conosci”, noi creeremo degli automi, che non aggiungeranno mai nulla di nuovo e limiteremmo il loro potenziale e contemporaneamente la nostra crescita.

 

Se invece il nostro messaggio fosse “sbaglia ma fa’ ”, ecco, quello potrebbe essere troppo sbilanciato dalla parte opposta e portarli a fare tanto ma senza sentire la responsabilità del risultato.

 

Nel mio caso, la via di mezzo che ho trovato è stata: “se non sai come farlo, trova una soluzione e se hai dubbi chiedi”. Questo ci permette di avere persone orientate a trovare da sole le soluzioni, usando al massimo il loro potenziale, ma che se percepiscono di andare troppo lontano rispetto alla via tracciata, prima di fare errori madornali, si confrontano con colleghi o superiori.

Tutti hanno la possibilità di dire la loro, nessuno si sente inadeguato e alla fine il risultato è merito di un gioco di squadra, che, come tale, viene premiato.

 

Un altro importante ingrediente della delega che ho citato in un altro video è: “le persone non fanno ciò per cui non sono controllate”, che, attenzione, non è l’equivalente di dire “le persone fanno ciò per cui sono controllate”. Il presupposto è completamente diverso.

 

Il mindset che dobbiamo sviluppare, per il bene del nostro fegato e dei risultati che vogliamo raggiungere, è che “le persone NON fanno le cose”, quindi noi non dobbiamo mai aspettarci che qualcuno faccia qualcosa che gli abbiamo detto di fare.

 

Noi dobbiamo partire dal presupposto che quella persona non farà la cosa che gli abbiamo detto di fare, almeno fino a quando quella cosa non sarà per lei un automatismo, perché ha sviluppato l’abitudine di farla o la responsabilità del risultato che quella cosa genera.

 

Partendo da questo presupposto, la responsabilità di controllare l’operato dei nostri collaboratori resta in capo a noi.
Di conseguenza eviteremo di mangiarci il fegato quando qualcosa non sarà fatto, se noi non abbiamo controllato a tempo debito e soprattutto accompagneremo la delega di un risultato ad un promemoria prima della scadenza per verificare l’avanzamento delle attività.

 

E con questa ultima frase, introduco anche il ruolo del Battitempo, ma di questo parleremo nel prossimo articolo.

 

Ti lascio al video che ho girato sull’argomento:

Il processo di Delega (parte 1)

Oggi voglio parlarvi della DELEGA: lo strumento più importante per crescere e per far crescere le nostre aziende.

 

Si sa, se ti occupi di tutto in azienda, ne stai frenando sicuramente la crescita.

 

Imparare a delegare è un dovere di ogni imprenditore, ma questo termine è spesso frainteso, infatti in unica parola sono racchiusi numerosi comportamenti e abitudini da sviluppare.

 

Delegare non vuol dire semplicemente “dire a qualcun altro di fare una determinata cosa al nostro posto”. Pensare questo, è il più grande errore che possiamo commettere durante questo delicato processo.

 

La delega è un processo, non una singola azione.

Questa è la prima cosa che dobbiamo capire. 

 

E voglio anche dire subito a quelli che ancora hanno in mente che la delega va a braccetto con il controllo, che probabilmente hanno solo studiato qualche libro di leadership, non hanno mai guidato un’azienda con centinaia di collaboratori, perchè la delega, non è solo “delega e controllo”, bensì è un processo di ben 8 fasi in base alla mia esperienza:

 

La prima è l’IDENTIFICAZIONE delle specifiche attività da delegare.

 

La seconda è la SCELTA della persona a cui delegarla.

 

La terza, la più importante, è la FIDUCIA che noi dobbiamo riporre nella persona che abbiamo scelto.

 

La quarta, è rendere il delegato RESPONSABILE del risultato, in modo che dia il 110% per raggiungere l’obiettivo.

 

La quinta, è la modalità con cui avviene il TRASFERIMENTO dei compiti.

 

La sesta, la più lunga e quella più impegnativa per noi, perchè è richiesta la nostra presenza, si compone di una serie di step intermedi che possono variare in base al livello di complessità dell’attività.

Il delegato deve essere EDUCATO affinché svolga tutto in modo corretto: esattamente come lo volevamo noi.

 

Ed infine, solo dopo tutti questi passaggi, si arriva alla settima e all’ottava fase: la VERIFICA ed il FEEDBACK.

Non dobbiamo infatti mai dimenticarci di dire ai nostri collaboratori cosa pensiamo del loro comportamento, fargli i complimenti per quello che fanno bene e correggere quello che devono migliorare.

 

Come hai appena letto, il processo di delega è composto da ben 8 passaggi e dobbiamo abituarci a farli talmente nostri che diventano un automatismo per il nostro cervello.

 

Tra questi passaggi, ci sono però 2 in particolare che sono proprio una questione di mindset:

La responsabilità e la fiducia.

 

La responsabilità che dobbiamo far nascere nelle persone a cui deleghiamo il RISULTATO e la fiducia che dobbiamo sviluppare nei confronti di queste persone.

 

Attenzione alle parole che ho appena usato. Ho detto nelle persone a cui deleghiamo il RISULTATO, non le attività, infatti le persone devono essere guidate a sentirsi responsabili del risultato, non delle singole attività. Solo così potremo far crescere le persone e renderle indipendenti.

 

Se ci circondiamo di fattorini che non andranno mai oltre le nostre parole, saremo sempre noi a dover dare gli impulsi, a battere il tempo, nessuno si prenderà mai la responsabilità, nessuno metterà la sua creatività al servizio della nostra azienda e sarà matematicamente impossibile crescere.

 

Delegando il RISULTATO, le persone si sentiranno responsabilizzate nel raggiungere la meta, si sentiranno parte del processo e aggiungeranno valore ai compiti che gli vengono delegati, anche se saranno i più umili che gli daremo al loro primo giorno di lavoro. 

 

Dal canto nostro invece, c’è la responsabilità più grande. Quella di fidarci di loro. 

 

Tanto tempo fa un mio amico imprenditore mi disse: “se ti fidi non dubitare; se non ti fidi non ti avvalere”. E dobbiamo ricordarci che nella vita le persone di cui ci fidiamo solo quelle a cui abbiamo DECISO di dare la nostra fiducia.

 

Per esperienza, quando non riusciamo a delegare un compito, oppure quel compito non viene svolto come vorremmo, è semplicemente perchè abbiamo commesso un errore in una delle 8 fasi che ho elencato in precedenza e nella maggior parte dei casi, il problema è proprio nella FIDUCIA che riponiamo nelle persone che collaborano con noi.

 

Quando ero bambino, in prima elementare, i miei genitori mi diedero un orologio e la chiave di casa. Ricordo ancora, come se fosse ieri, che a 6 anni io tornavo da scuola a piedi, da solo, perchè né i miei genitori, né nessun altro poteva venirmi a prendere.

 

Oggi a distanza di tanti anni, nelle mie aziende vige questo comandamento: “Fa crescere e Rendi indipendenti le persone”, sono certo che uno dei semi di questo comportamento è da cercare anche in quello che hanno sempre fatto con me i miei genitori, mi hanno sempre dato tanto fiducia, mi hanno fatto sbagliare e mi hanno permesso di crescere e diventare indipendente.

 

Questo dobbiamo fare con i nostri collaboratori, ricordandoci un ultima cosa prima di chiudere:

“Le persone non fanno ciò per cui non sono controllate”, ma di questo ne parleremo un’altra volta.

 

Delocalizzare, localizzare, oppure … ?

Sei sicuro che produrre all’estero sia la soluzione migliore?

D’accordo, i costi sono molto più bassi, ma vale la qualità alla quale rinunci?

 

Ascolta, nella mia esperienza ho visto che l’innovazione è il fattore decisivo nel mercato di oggi e che delocalizzare può essere pericoloso, e ti spiegherò perchè in questo articolo.

 

Qualche giorno fa mi sono trovato a parlare della Cina e c’era una persona che credeva che la Cina fosse ancora il terzo mondo dove andare a produrre a basso costo.

 

Sicuramente la Cina è un Paese dove la manodopera costa molto meno che in Occidente, ma la Cina non è più quel Paese lì.

 

La Cina ormai è la nazione con la bilancia commerciale più in attivo di tutto il pianeta. Ogni anno ha circa 400 miliardi di dollari di surplus, ciò vuol dire che quello che esporta supera di 400 miliardi quello che importa.

 

E  chi pensa che le esportazioni della Cina siano i soliti oggetti a basso valore aggiunto, forse dimentica Huawei, una super potenza dell’elettronica che sta combattendo per il dominio della tecnologia 5G, oppure dimentica che il 70% dei pannelli fotovoltaici del mondo sono prodotti in Cina, oppure forse dimentica che le cosiddette Terre Rare, un componente fondamentale dei superconduttori della Silicon Valley vengono prodotte per il 95% proprio in Cina.

 

La Cina è passata dall’essere la fabbrica del mondo, dove le persone piuttosto che morire di fame preferivano lavorare per pochi dollari al giorno costruendo i prodotti low cost per tutto il mondo, in una super potenza mondiale, che proprio grazie al lavoro duro e agli investimenti colossali in infrastrutture non sembra affatto destinata a rallentare, nonostante quello che qualcuno ci voglia far credere parlando della possibile bolla immobiliare cinese o delle rivolte innescate ad Honk Kong.

 

Ma quello di cui volevo parlare in questo video, non è tanto la situazione economica della Cina, bensì l’impostazione del proprio ciclo produttivo.

 

Fino a 50 anni fa, non c’era molta scelta. C’erano le fabbriche, che tendenzialmente nascevano dove aveva sede l’impresa, molto spesso vicino casa dell’imprenditore oppure a ridosso delle grandi città.

 

Poi, sul finire del 900 si è passati alla delocalizzazione, pensando di ottenere maggiori margini spostando parte della produzione in luoghi ritenuti più adatti, ed è così che intere filiere produttive sono state spostate in Paesi dove la manodopera era a basso costo.

 

Ma ora anche questo fenomeno si sta esaurendo perché è sempre più difficile trovare Paesi dove la manodopera a basso costo riesca a giustificare la perdita di efficienza che ne consegue.

Produrre in Cina, in India o in Romania, costa meno che in Italia, magari ancora il 50% in meno, ma la qualità e la creatività che perdiamo andando in questi Paesi non giustifica più la delocalizzazione.

 

E allora è per questo che ormai, dall’era della delocalizzazione siamo entrati in quella dell’innovazione.

 

Un era in cui per ottenere maggiori margini bisogna trovare soluzioni che permettano alle nostre risorse umane di lavorare con i super poteri, di produrre di più, con maggiore qualità e maggiore efficienza.

 

È solo attraverso l’innovazione tecnologica che possiamo rimanere a fare business in Italia, senza essere schiacciati dalla concorrenza internazionale.

 

Vi faccio un esempio che ho toccato con mano. 4 anni fa, quando avviai Soluzione Tasse credevo di poter ridurre del 30% i costi di gestione contabile utilizzando un centro di elaborazione dati in Romania.

 

Non ci fu scelta più sbagliata. Quello che inizialmente sembrava una riduzione del costo si trasformò in un boomerang pazzesco che non mi permetteva di scalare, perché i contabili che c’erano producevano poche righe all’ora e non era possibile trovare abbastanza contabili a basso prezzo ed elevata competenza rispetto al numero di clienti che cresceva a dismisura mese dopo mese. con conseguenti disservizi e la perdita di clienti faticosamente guadagnati sul mercato.

 

È stato solo grazie ad un evoluzione tecnologica e alla nascita di Xriba, l’intelligenza artificiale applicata alla contabilità, che sono riuscito a riportare il 100% dell’elaborazione dati in Italia, assumendo oltre 100 italiani e riducendo del 70%, non solo del 30, i costi di elaborazione dati rispetto ad un normale studio di commercialisti italiano.

 

Per concludere, se siamo un azienda che produce, lasciamo perdere la ricerca di Paesi dove le persone lavorano ancora a 2 dollari all’ora ed iniziamo ad analizzare i nostri processi di lavoro, a capire in quali ambiti possiamo applicare robotica ed intelligenza artificiale per rendere i nostri collaboratori ancora più efficienti.

 

Solo in questo modo potremmo vincere le sfide del prossimo decennio e usare le nuove tecnologie, che si pensa minaccino migliaia di posti di lavoro, a nostro vantaggio.

 

Aggiungo un ultima cosa, in Italia ci sono una montagna di contributi a fondo perduto per la Ricerca e l’innovazione, ma per oggi direi di terminare qui, ti lascio al video che ho fatto sull’argomento.

 

 

La forza del fallimento

Il fallimento è una grande opportunità!

Ovvio, questa è un’affermazione impopolare e molti potrebbero criticarmi, soprattutto quelle persone che sono passate per un fallimento e non sono più riuscite a rialzarsi.

 

Però, proprio come la Fenice è in grado di rinascere dalle proprie ceneri, anche noi imprenditori possiamo rialzarci più forti di prima da un progetto finito male.

 

E questo lo dico con cognizione di causa perchè nel 2013 ero a -500.000€ e la mia aziendina dell’epoca è finita in liquidazione, ma è proprio per uscire da quella situazione, e soprattutto per non tornarci mai più, che ho imparato ad essere un imprenditore migliore.

 

Grazie all’analisi di risultati fallimentari come quelli, possiamo capire quali sono state le scelte che ci hanno portato a quel epilogo.

 

Per quanto mi riguarda, se non fossi arrivato a quel livello di sofferenza, probabilmente non sarei mai riuscito a settare la mia mente per il successo, a sviluppare quelle abilità che oggi mi permettono di affrontare le mie sfide con un unico obiettivo: vincerle.

 

Grazie al fallimento possiamo imparare ad essere più attenti, a ponderare meglio le nostre decisioni, a prendere rischi, perchè quelli fanno parte dell’essere imprenditori, ma allo stesso tempo a non fare il passo più lungo della gamba.

 

Per quanto mi riguarda, la lezione più grande è stata quella di iniziare a guidare la mia azienda con il conto economico e non più con il conto corrente.

 

Ogni giorno infatti incontro imprenditori che prendono decisioni sul fare o non fare una cosa basandosi sui soldi disponibili sul loro conto corrente. Ma quello è un indicatore assolutamente errato per prendere decisioni.

 

Perchè i soldi sul conto corrente possono essere della banca che ci ha concesso una linea di credito, dei clienti che ci hanno pagato in anticipo per un servizio ancora da erogare, dei fornitori che magari ci hanno dato merci o servizi e li dobbiamo ancora pagare. Possono essere dello Stato perchè magari dobbiamo ancora pagare l’IVA o le imposte.

 

E quindi, solo in un caso su 5, se siamo stati bravi, i soldi sul conto corrente sono della nostra azienda.

 

Quindi se guidiamo l’azienda guardando il conto corrente abbiamo 4 probabilità su 5 di sbagliare. E’ per questo che le aziende devono essere guidare con il conto economico, dobbiamo conosce la differenza tra costi produttivi e costi di produzione.

 

Dobbiamo conoscere il nostro punto di pareggio, dobbiamo conoscere la ricchezza che siamo in grado di generare.

 

Solo in questo modo saremo in grado di prendere in mano le nostre aziende e guidarle al successo in modo consapevole e tutto questo io l’ho imparato grazie al fallimento.

 

Oggi non sarei alla guida di un gruppo imprenditoriale da oltre 20.000.000 di fatturato se non fossi passato da lì.

 

Quindi mettiamoci in testa di imparare dai nostri errori e più grandi sono questi errori, più abbiamo da imparare.

 

Ti lascio al video che ho girato sull’argomento:

Leadership: amore e timore

Soprattutto ultimamente che il mio gruppo aziendale ha superato le 200-250 persone impiegate, incontro sempre più spesso imprenditori che mi chiedono come fare per diventare leader carismatici. 

 

Ora, detto tra noi, io non mi sento neanche così tanto carismatico, però effettivamente le persone che collaborano con me mi seguono e mi rispettano, quindi probabilmente, a prescindere dal carisma, ho senz’altro sviluppato delle ottime doti di leadership.

 

E allora, l’ultima volta che mi è stata posta questa domanda mi sono iniziato ad interrogare sulla leadership e credo di aver individuato almeno 2/3 ingredienti che probabilmente costituiscono la chiave per guidare la mia squadra.

 

Non è detto che siano validi per tutti, perchè i leader sono prima di tutto persone e ognuno di noi ha il proprio carattere, però sono piuttosto convinto che la mia leadership sia un mix di umiltà, amore e timore.

 

Umiltà perchè per guidare un gruppo e farsi seguire, il leader deve essere il primo a metterci tutto se stesso, a mio parere un vero leader non deve chiedere di fare agli altri quello che non sarebbe disposto a fare per se stesso. Se c’è da finire tardi, il leader fa tardi con il suo team, se c’è da rispettare una deadline, lui è il primo a farsi il mazzo per fare in modo che il team raggiunga la metà.

 

Questo aiuta senz’altro a sviluppare il secondo ingrediente, l’amore. Le persone che lavorano con noi, devono amare quello che fanno, amare la loro azienda e amare l’imprenditore che li guida perchè lo sentono al loro fianco. E se vogliamo che le persone che lavorano con noi ci amino, di certo dobbiamo essere i primi ad amare loro, a provare un interesse sincero nei loro confronti. A sentirci parte della stessa cosa.

 

Ed infine, il leader ogni tanto deve saper alzare la voce. Deve farsi rispettare, deve prendere a calci le persone che sbagliano, in senso figurato ovviamente, a volte deve usare modi rudi e parole forti, deve mostrare la sua autorità.

 

Al di là di tutto quello che c’è scritto nei manuali sulla leadership, le statistiche dicono che nella Silicon Valley hanno molto più successo le aziende che hanno leader autoritari, piuttosto che autorevoli.

 

Io personalmente non ho mai creduto nei leader autorevoli, accomodanti, quelli che ti indorano sempre la pillola. Tutti i grandi imprenditori che ho avuto modo di conoscere fin da bambino erano persone con le quali era difficile mantenere lo sguardo. Sentivi il loro potere a distanza di metri.

 

Quindi io sono per dire le cose dritte in faccia, senza filtri e senza mezzi termini. E quello crea il rispetto, crea il timore le che persone devono avere per essere guidate.

 

Quindi amici imprenditori se vogliamo essere leader carismatici, dal mio punto di vista dobbiamo essere umili, farci amare e farci rispettare. Con questo mix le persone ci seguiranno e daranno l’anima per noi e per le nostre aziende.

 

Ti lascio al video che ho girato sull’argomento.